COME UN UROBORO: OVVERO, L’ARTE DI RINASCERE
L’uroboro o, palindromamente, oroboro, è il simbolo di un serpente che si morde la coda, formando un cerchio senza inizio né fine. Rappresenta il continuo divenire, la natura ciclica delle cose, un’energia apparentemente statica che contemporaneamente divora e rigenera sé stessa: insomma, è infinito, immortalità, eterno ritorno.
Questa rubrica con pubblicazione mensile offre uno sguardo sulla vita reale di personalità del panorama sportivo che ci vogliono raccontare da dove vengono, chi sono e dove stanno andando: “l’infinito mutare della loro pelle”. Questi atleti non hanno paura di condividere qualcosa che solo loro possono sentire, ciò che li spinge a raggiungere la versione di sé che, dubbi o certezze, è in verità già lì ad attenderli… come un uroboro che si distrugge e crea allo stesso tempo.
MORENA TARTAGNI
C’è qualcosa di sorprendentemente meraviglioso nello scoprire, a posteriori, il significato delle esperienze vissute: è come se, lasciandole decantare un poco, riprendessimo tra le mani ciò che ci è accaduto per poterlo rinominare e comprendere più a fondo. E così, capita, si notano piccoli punti di luce che fungono da riferimento nell’oceano della nostra vita: delle boe di salvataggio attorno cui far passare l’intricata corda che lega la pesante rete dei nostri vissuti. Non sappiamo se sia nato prima l’uovo o la gallina, ma quel che è certo è il nostro atavico bisogno di ricercare un senso in ciò che ci accade. Ecco perché è tanto fondamentale tenere viva la fantasia.
L’incontro con Morena è avvenuto per caso: metà seguendo l’istinto e metà assecondando il mio amore per la lettura. La protagonista di questa storia è una persona che già qualche anno fa ha scelto di raccontarsi senza riserve: appena ho accostato il suo nome alla copertina di un libro, è stato ovvio come avrei occupato il mio tempo libero. La sua cronaca, pubblicata nel 2022, è delicatamente stesa in poco meno di duecento pagine che ho divorato con grandissimo piacere. Apprezzo particolarmente le storie di vita vissuta, ne ho lette moltissime e di diversissime, però ammetto che non mi era mai accaduto di emozionarmi sul divano di casa… praticamente per tre quarti delle pagine. Prepararmi studiando la biografia di Morena è stato imperativo – solo così avrei potuto capire meglio chi avrei incontrato di persona – e mi sento di dire che è proprio leggendo che ho intrapreso un incredibile viaggio dentro lei e, di conseguenza, anche dentro me. Le boe di cui parlavo prima, il fil rouge che sembra collegare tante nostre esperienze, non sono altro che un effetto collaterale del lasciarsi andare, sperimentare, aprire i propri orizzonti per poi tornare a rivolgere l’attenzione verso l’interno, riuscire a capirsi meglio, guardarsi dentro e creare occasioni di riflessione. L’espressione “filo rosso” (fil rouge) è difatti inteso con il significato di “filo conduttore” e sembra avere origine marinaresca: per districare le gomene di una nave si seguiva un filo rosso che rendeva possibile separare le corde aggrovigliate. Insomma, per me, non è mai stato così bello sciogliere dei nodi.
“… ma dammi pure del Tu! Sai, tra sportivi, ci intendiamo”.
Questo è stato l’approccio che ho avuto al telefono con Morena, che sapevo essere una signora molto più grande di me di età, e mi ha sorpresa non poco. Ho balbettato qualche “Lei” per tutta la chiamata, perché quasi mi sembrava profano propormi da pari in quel contesto e con tale interlocutrice. Ma sarebbe stata una mancanza di rispetto ignorare la sua proposta, quindi, sforzandomi, mi sono fatta coraggio – forte del fatto che tra noi ci fosse il filtro del telefono – e ho pensato che la reale difficoltà sarebbe stato farlo di persona… ma quello era un problema della me futura: ci avrei pensato quando mi sarei trovata in quella situazione.
Avevo terminato da qualche giorno il libro su Morena Tartagni, pioniera che in sella alla sua bici ha aperto la strada al ciclismo femminile italiano. Nata del 1949, dopo una infanzia difficile ma circondata dall’amore della propria famiglia, aveva trovato il sostegno di una mamma e un papà particolarmente “avanti” rispetto ai tempi che correvano. Infatti, quando ancora era considerato scabroso e ridicolo per una donna salire su una bici indossando i calzoncini corti e pretendere di fare anche l’atleta, Morena ha avuto la possibilità di vedere il suo sogno assecondato dal tifo di due genitori che hanno sempre creduto in lei. Una delle prime cose che mi ha detto appena sedute al tavolino del bar, è stata: “Non freno mai, spingo, spingo sempre. Spingere è importantissimo nella vita, andare avanti, avere l’entusiasmo dello slancio”. Ancora oggi il suo lessico tradisce la propria storia di grande atleta.Di fronte a me c’è una signora di settantacinque anni con i capelli lilla e gli occhi vispi. Non me l’ero immaginata così, eppure non sono sorpresa… anzi è come se la conoscessi già. Dopotutto, ho annientato in un paio di giorni il suo libro, ho attinto da quelle pagine per crearmi l’immagine di una persona che è esattamente quella che mi ritrovo davanti. D’un tratto la tensione che sentivo prima di stringerci la mano svanisce, non sento più la preoccupazione che mi occupava la mente stando seduta lì, da sola, ad aspettarla. Mi accorgo di quanto ciò che sta accadendo sia una esperienza incredibile e, di nuovo, quanto io mi senta al posto giusto nel momento giusto. E intanto, quel filo rosso sta iniziando a intrecciarsi.
Le ho spiegato che lo scopo della nostra chiacchierata non è solamente fare luce sulla sua brillante carriera di atleta, ma gettare uno sguardo su “lei persona”, ascoltando ciò che ha da dire e soffermandoci su chi sente di essere, dove sta andando, come è stato il suo viaggio fino a ora. E di esperienze ne ha da raccontare: oltre alle numerose imprese compiute in sella alla sua bici e alla longeva attività agonistica, Morena ha un bagaglio di vita decisamente ampio.
“Io ho sempre dovuto lavorare tanto, rincorrere per l’intervista post gara, farmi in quattro per le mie decisioni, sostenere importanti scelte e lotte per la mia visibilità di atleta donna ciclista, però non sono stata l’unica: prima di me c’è stata Alfonsina Strada, poi tutte le mie ex colleghe, e alla fine… la donna è sempre andata in bicicletta. Pensa alle partigiane: non erano forse loro che facevano la staffetta assolvendo un lavoro importantissimo correndo anche sulle due ruote? Semplicemente, è cambiato pian piano lo stile del medesimo mezzo di trasporto. Abbiamo tolto il cestino, i fiorellini, e l’abbiamo riadattato a un bolide da corsa”.
Già per tutta la durata della lettura ho notato come lei abbia attraversato dei periodi storici densissimi e tanto diversi tra loro: tecnicamente potrebbe avere l’età per essere mia nonna, dalle sue parole traspaiono spaccati di vita quotidiana che ho potuto tranquillamente acquisire da mia madre e mio padre, oltre che dai loro genitori. Ha un che di incredibile scambiarsi opinioni con una persona che è nata poco dopo la fine della Seconda guerra mondiale, che ha dovuto sentirsi dire “Torna a casa a fare la calza!” durante le sue gare, ma che ad oggi abita lo stesso mondo che conosco io, nata a fine anni Novanta, e che con fierezza mi dice di sentirsi una donna libera e non esserlo mai stata come ora, a settantacinque anni.
Sì, perché Morena mi dice espressamente che è proprio ora, alla sua età, che vive il suo più grande riscatto e, dopo tutto quello che è accaduto nella sua vita, ci pensa su un po’ e si chiede: “Ma quanto sono stata coraggiosa?”.Sfogliando il suo racconto “Volevo fare la corridora”, salta all’occhio come questo inizi e finisca incorniciato dal delicato ricordo di Paola: una figura di cui non si sa nulla nella lettera che Morena le dedica appena dopo l’indice, ma che al termine del libro guadagna un piccolo grande spazio nel cuore dei lettori. È chiaro fin da subito, però, che si tratta di un personaggio centrale nella vita della ciclista: ecco perché, davanti a un caffè, mi permetto di approfondire una frase che ho sottolineato direttamente dal testo. Le chiedo dunque di spiegarmi meglio questo suo passaggio:
“Ma il più grande ringraziamento te lo devo per aver ereditato da te la forza e il coraggio di mettermi a nudo, raccontando con trasparenza la mia storia di atleta e la nostra storia di donne, libere da ogni pregiudizio.”* (pagina 9)
La risposta è ampia, parte da lontano perché è necessario un margine di manovra per raccogliere il filo rosso di Morena, una connessione lunga venticinque anni. Mi racconta di come sia stata proprio Paola ad averle mostrato quanto avesse fatto per il panorama sportivo femminile: prima, lei stessa non si era accorta davvero di ciò che le sue imprese avevano effettivamente comportato. E le pagine macchiate di inchiostro che tengo nella mia mano sinistra in quel momento, mi dice, esistono grazie a una promessa che Paola le ha strappato appena prima di andarsene. Infatti, dopo averla fatta sedere sul letto accanto a sé, le ha proposto una idea:
“Morena, i giovani d’oggi devono scoprire che il ciclismo femminile non è partito dagli anni Ottanta in poi, ma che c’è stato chi l’ha aiutato ad arrivarci lì: tu!”
Va da sé che raccontare la propria storia avrebbe inevitabilmente significato raccontare la loro storia, quella di Paola e Morena, quella di due “donne, libere dal pregiudizio*”.
Perché – mi spiega con passione e con gli occhi lucidi – è appunto grazie alla sua compagna che ha scoperto i veri valori della sua vita, le piccole cose che non vedeva o non voleva vedere. Paola le ha regalato venticinque anni stupendi, ricchi di esperienze, consapevolezza. Da un matrimonio precedente aveva avuto due figlie, che fanno tutt’ora parte della vita di Morena, e attraverso le quali la nostra ciclista ha potuto scoprire anche l’esperienza della maternità: “Ovviamente non intendo che sono davvero figlie mie, però stare a stretto contatto con loro e vivere il loro amore mi ha permesso questo incredibile viaggio dentro me stessa, condiviso con la persona che più ho amato. Anche oggi le nostre famiglie sono molto legate”.
Ho tante domande, ma non è necessario farne perché le risposte mi vengono presentate una dopo l’altra, con un tempismo perfetto.
“Beh, forse l’unione civile tra noi non era necessaria… eppure è stata fondamentale. Insomma, io avevo settant’anni e lei quasi ottantuno. Non si trattava di ufficializzare o rendere “più vero” un legame, piuttosto era un altro modo per esprimere la nostra necessità di emancipazione, un gesto volto a lasciarci alle spalle, ancora una volta, delle costrizioni con le quali non eravamo più disposte a scendere a patti… da anni. Però è stata una scelta perfetta.”
Nel vocabolario di Morena trovo un lessico fatto di gentilezza, di parole contemporaneamente accoglienti e forti, decise: “Non voglio essere etichettata per la mia scelta di essere stata con Paola: non mi interessa riassumermi in “gay” o “lesbica”, quel che mi importa è aver vissuto i sentimenti senza sentire la pressione di appiccicarci sopra un nome. Non rinnego il mio passato, le mie esperienze precedenti, quelle sono parte di me… semplicemente auguro a tutti di provare i sentimenti e le emozioni come li ho sentiti io”.
Le chiedo quindi di spiegarmi come è stato condividere questi anni con la sua compagna, dopo aver finalmente scelto di allentare la presa e alleggerire la mano dal freno. L’immagine che mi regala è tanto naïf quanto emozionante: mi risponde che quell’amore maturo è stato come vivere un sentimento su una nuvola, accompagnandosi mano nella mano, qualcosa di totalmente diverso da ciò che si era sperimentato fino a quel momento.Mi incuriosisce molto l’energia con cui ripete la parola “libertà” e leggo nei suoi gesti, nelle espressioni del viso, quanto ciò che mi racconta sia frutto di un sogno diventato realtà, un traguardo tagliato dopo tanta fatica e sofferenza, un punto d’arrivo che si è subito trasformato in partenza, in una rinascita. È inevitabile immaginarmi Morena come un uroboro che si distrugge e crea allo stesso tempo, soprattutto quando parla del suo concetto di “infinito”:
“Dicendoti che non me la sento più di darmi un freno intendo che io guardo sempre oltre. Davanti a me non c’è altro che l’infinito, non vedo né cerco un limite… ma, allo stesso tempo, questo mi ha permesso di conoscerli, i miei limiti.”
Ecco come mi racconta di aver fatto pace con i suoi “confini”, il perimetro della sua persona, che non sente più eccessivamente stretto ma bensì un accogliente abito fatto su misura che le cade a pennello. Ancora una volta, ad aiutarla in questo percorso di crescita personale è stata la sua storia di amore: capire che i propri difetti diventano i pregi per chi ci ama (e provare lo stesso nei confronti delle “pecche” della compagna) è stato un potente acceleratore che ha contribuito all’attuale accettazione di sé.
Trovo impressionante la profondità con cui Morena si sa raccontare, e probabilmente è grazie alla sua spontaneità che la nostra chiacchierata procede con entusiasmo crescente. Non mi è più difficile darle del Tu e mi apro con lei come non ho mai fatto con una sconosciuta, racconto dettagli intimi che sono emersi nella mia mente sentendola parlare – quelle famose boe di salvataggio. Mi aggancio in modo naturale alle sue idee, sento di condividere tantissimo e, forse per la prima volta da quando faccio il mio lavoro, mi tolgo il cappello da psicologa e lascio trasparire più di quanto avrei mai pensato di voler fare. Mi emoziono molto durante il nostro incontro e vedo che la cosa è reciproca.
“Giunta a questo punto della mia vita sento una forte consapevolezza di me, di chi sono, e so che non necessito di nascondere nulla. Insomma, insisto: percepisco il bisogno di sentirmi libera, trasparente. Ma bada bene, ovviamente capisco subito con chi posso sentirmi tale e con chi no: e in quest’ultimo caso sto al suo gioco e… prendo in giro chi ho davanti! Accetto di rispondere a un muro scegliendo di non regalargli la vera me stessa. Non se lo meriterebbe”.Spinta dall’ingenuità (dopotutto non ho nemmeno trent’anni), e affascinata da quanta vita possa essere racchiusa in settantacinque primavere, le chiedo di getto cosa domanderebbe a una sfera di cristallo costruita per dirle unicamente la verità. Si prende qualche istante per pensarci ma la risposta mi arriva, sebbene un po’ sibillina.
“Beh, vorrei fare una domanda a lei (Paola), su una questione per cui non ho mai avuto una risposta e che io non sono mai riuscita a capire. Lì ho scelto di rispettare la sua privacy ma… oggi glielo chiederei senza pensarci un attimo e mi piacerebbe avere una risposta!” gli occhi le si inumidiscono di nuovo, e i miei seguono istantaneamente il suo esempio “Però c’è qualcosa che anche io non le ho mai detto. Qualcosa che ho tenuto ripiegato nell’angolo più remoto della mia persona, che non sono stata capace di spiegare nemmeno di fronte a lei… ecco, questo non lo rifarei, forse ho sbagliato. Perché so che lei avrebbe capito, ne sono certa. Però, questo ragionamento mi permette di capire il motivo per cui lei non mi abbia dato quella famosa risposta di cui ti ho parlato poco fa”.
Morena continua a intrecciare i nostri fili rossi, sembra essere sempre un passo davanti a me, come se sentisse in anticipo i miei punti interrogativi. Difatti, non faccio nemmeno in tempo a chiederle se crede ancora nell’amore che lei indovina la risposta:
“Per me i sentimenti di amore sono terminati con Paola. So che non potrò più dare disponibilità del mio affetto romantico. Però amo la vita, amo e non riesco a smettere di amare: nutro un forte rispetto per i miei sentimenti, non dubito del mio modo di provare gioia per la mia quotidianità e le persone che mi circondano di affetto. Non mi vergogno di dire che in passato ho vissuto momenti davvero (ndr. ma davvero) bui, durante i quali non vedevo né sentivo nulla… ma poi ho conosciuto Paola e ho riniziato a vivere. Credimi che ho proprio pensato “Ah, ma allora esistono ancora i sentimenti!”. Penso sia imprescindibile condurre la vita con amore e passione, solo così superare gli ostacoli diventa addirittura entusiasmante”.L’entusiasmo con cui condivide il suo punto di vista è speciale, e sento di voler assorbire il più possibile da questo incontro: approfitto di un raro attimo di silenzio per fare una delle poche domande che erano rimaste appese nella mia mente. “Morena, ma quando si diventa adulti? Quando hai capito che sei diventata grande?”
Mi sfila delicatamente dalle mani il suo libro, lo apre e mi indica l’esatto passaggio da cui è nata la mia prima domanda del pomeriggio.
“Qui, quando ho scritto […] donne libere, da ogni pregiudizio*. Ecco quando ho capito di essere diventata davvero adulta. Proprio quando ho smesso di sacrificare parti di me e ho iniziato a rispettarmi, senza nascondermi. Io esigo rispetto nei confronti della mia persona, di essere rispettata per chi sono e quel che valgo. E lo stesso vale per me nei confronti del prossimo. Se ciò non accade, abbiamo un bel problema: lì sì che mi arrabbio. Non è un atteggiamento accettabile, a mio parere”.
È impossibile non ammirare l’approccio di Morena alla vita che, nonostante gli spigoli, può regalare tanta gioia. E, all’improvviso, si illumina una piccola luce in un angolo del mio oceano interiore: mi appare un ricordo sbiadito di una lezione di letteratura greca delle superiori. Stavamo analizzando il passo dell’Iliade in cui Apollo getta sull’accampamento degli Achei una terribile pestilenza come punizione del disprezzo di Agamennone nei confronti del sacerdote Crise – devoto al dio in questione – e di sua figlia Criseide. È qui che si aggancia il mio ricordo del concetto di “miasma”: questa parola deriva da un verbo greco che significa “sporcare/contaminare”, ed è infatti collegata al contesto di peste scagliata sull’intero esercito greco piuttosto che sull’unico colpevole dell’ira di Apollo. Insomma, si tratta di un “contagio della colpa” che si diffonde collettivamente, come una macchia di inchiostro, su chiunque sia vicino al responsabile del malfatto. Rifletto su come questo pomeriggio in compagnia di Morena abbia avuto su di me l’effetto di un miasma positivo, un contagio emotivo prezioso che ha mosso dentro me pensieri e forze pronti a scattare sull’attenti. Non solo ho ascoltato, ma ho anche “sentito forte” ogni parola che mi ha dedicato. Morena ha proprio ragione: amare è inevitabile.Ma ora, in che direzione sta andando? Verso quale strada pedala la nostra ciclista storica?
“In realtà” mi dice “quando ho colto l’idea di Paola e ho scelto di tenere fede alla promessa fatta poco prima che se ne andasse, non avevo proprio idea che avrei creato ciò che esiste oggi. Ti spiego meglio: sapevo che sarebbe nato un libro di memorie sulla mia storia di atleta e donna, sulla nostra testimonianza di libertà e amore, ma mai avrei pensato di ottenere questa risonanza. Non parlo di riflettori, intendo che questo non è stato un semplice libro, ma una chiave per la mia “seconda nascita”. Come ti ho detto, è alla mia età che sento di aver avuto il più grande riscatto, e oggi sono immersa in una quotidianità meravigliosa. Pensa che ho il calendario pieno fino a marzo 2025: partecipo a delle giornate dedicate a trasmettere i valori della mia biografia. Amo andare a parlarne nelle scuole: i ragazzi capiscono che sono sincera e si sentono davvero liberi di ascoltare se stessi e gli altri. Io mi sento subito accolta per chi sono, mi racconto con piacere, e mostro loro che nonostante non sia più uguale all’atleta in copertina e possa sembrare la loro nonna, c’è tanto altro da scoprire. Anche questo è la vita”.
Morena mi fa uno splendido regalo, mi scrive una dedica che io incornicerò e metterò sul mio comodino. Definisce “dolce connubio” le ore passate a raccontarsi e ad ascoltarmi, mi esorta a insistere a pedalare per continuare a distinguermi dalla tanta normalità dei più (ndr. che bel complimento!). Insomma, può essere che sciogliere dei nodi porti a crearne degli altri… e anche questo è la vita.
Il tempo passato insieme – oltre che quello impiegato a leggere la sua storia – ha scomodato massicciamente il significato profondo della parola “simpatia”: σύν + πάϑος, letteralmente, “sentire con”. Sentirsi affini e andare d’accordo sarebbe riduttivo, preferisco infatti dire che “sentire insieme” a Morena è stato un dono collaterale ereditato dal desiderio di Paola di diffondere una storia unica come la protagonista. Morena: Paola aveva ragione, grazie!
Vuoi conoscere anche la storia di Andrea? Clicca qui https://tinyurl.com/p3tfswkk
Morena in sella alla sua bici, in gara.
Paola e Morena, sorridenti.
“Non freno mai, spingo, spingo sempre, spingere è importantissimo nella vita, andare avanti, avere l’entusiasmo dello slancio”
Morena con l’editore del suo libro “Volevo fare la corridora”.